il nostro Calendario: 10 Dicembre

1948: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

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«Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità».
(Eleanor Roosevelt, 27 marzo 1958, In Your Hands).

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Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita a Parigi, approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con la risoluzione 217A.

Degli allora 58 membri 48 hanno votato a favore, nessuno contro, otto si sono astenuti e due non hanno votato. Questa documento doveva essere applicato in tutti gli stati membri, e alcuni esperti di diritto hanno sostenuto che questa dichiarazione sia divenuta vincolante come parte del diritto internazionale consuetudinario venendo continuamente citata da oltre 50 anni in tutti i paesi.

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La dichiarazione è frutto di una elaborazione secolare, che parte dai primi principi etici classico-europei stabiliti dalla Bill of Rights e dalla dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, ma soprattutto la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione francese, i cui elementi di fondo (i diritti civili e politici dell’individuo) sono confluiti in larga misura in questa carta.

È la base di molte delle conquiste civili del XX secolo, in proposito molto rilevanti nel percorso che ha portato alla sua realizzazione, sono i Quattordici punti redatta del presidente Woodrow Wilson nel 1918 e i pilastri delle Quattro Libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta Atlantica del 1941. Dopo la fine della seconda guerra mondiale ad essa è poi seguita la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, elaborati dalla Commissione per i Diritti Umani ed entrambi adottati all’unanimità dall’ONU il 16 dicembre 1966.

Ha costituito l’orizzonte ideale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, confluita poi nel 2004 nella Costituzione europea. Il testo della Costituzione Europea non è mai entrato in vigore per via della sua mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri (Francia e Paesi Bassi a seguito della maggioranza dei no al relativo referendum), ma la Dichiarazione in ambito europeo costituisce comunque una fonte di ispirazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata per la prima volta a Nizza il 7 dicembre 2000, ed avente oggi anche pieno valore legale vincolante per i Paesi UE dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1º dicembre 2009 e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea quale parte integrante della Costituzione europea.

Dichiarazioneleggi qui il testo integrale della Dichiarazione

il nostro Calendario: 2 Dicembre

1968: i fatti di Avola

I contadini uccisi ad Avola

Volevano solo trecento lire in più

di Mauro De Mauro (pubblicato su L’Espresso, 8 dicembre 1968)

Avola – Al ventesimo chilometro della statale 115, quasi alle porte di Avola, non si passa più. Bisogna scendere dalla macchina e proseguire a piedi verso il grosso borgo che si intravede poco al di là della curva, quasi di fronte al mare. È difficile mantenersi in equilibrio sull’asfalto di pietre e di bossoli. È uno spettacolo desolante; si ha la precisa sensazione che qui, per diverse ore, si è svolta un’accanita battaglia. In fondo al rettilineo la strada è parzialmente ostruita dalle carcasse ancora fumanti di due automezzi della polizia dati alle fiamme. Sull’asfalto, qua e là, delle chiazze di sangue rappreso. Anche un autotreno, messo di traverso dagli operai in sciopero per bloccare la strada, è sforacchiato dai colpi e annerito dal fuoco. Proprio come una R4 e una decina di motociclette dei braccianti sui cui serbatoi i poliziotti hanno sparato per impedirgli di andarsene.
Sono le dieci di sera di lunedì 2 dicembre. Giornalisti e fotografi, accorsi da tutta l’Italia, stanno raggiungendo un paese il cui nome resterà a lungo nella storia delle lotte sindacali italiane.
È una prospera cittadina, a pochi chilometri da Siracusa, al centro di una ricchissima zona di orti e di agrumeti. Fino a ieri era noto come il “posto delle mandorle”, le buone, dolcissime, tenere mandorle di Avola. Da oggi non si potrà più nominare senza venir colti da un senso di sgomento e di profonda amarezza.

Due chili di bossoli
Giuseppe Scibilia, di quarantasette anni, era nato qui. Angelo Sigona, di ventinove, era nato a pochi chilometri di distanza, a Cassibile, il paese dove, nel settembre del ’43, il generale Castellano firmò l’armistizio per l’Italia sotto la tenda del generale Eisenhower. Ora sono tutti e due distesi nella sala mortuaria dell’ospedale civile di Siracusa. Gli hanno sparato poliziotti di ogni grado, appartenenti al battaglione mobile di Siracusa, con armi diverse: dai mitra corti in dotazione agli agenti, alle pistole calibro 9, 7.65 e 6.35 in dotazione a sottufficiali, ufficiali e funzionari di Pubblica Sicurezza. Una parte delle centinaia di bossoli raccolti poco fa sul campo di battaglia sono in possesso della Federbraccianti. Qualcuno, il deputato Antonino Piscitello, che si trovava sul posto al momento dell’eccidio, li ha anche pesati: erano più di due chili. Il piombo delle forze dell’ordine ha ridotto in fin di vita altri quattro braccianti. Uno di essi, Giorgio Garofalo, nato ad Avola trentasette anni fa, ha tredici pallottole nel ventre.
Fa freddo. La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per difendere diritti e interessi elementari. Il presidente della Confagricoltura, conte Alfonso Gaetani, era in viaggio alla volta di Siracusa per contendere a questi uomini il miglioramento che reclamavano, ma la battaglia del chilometro 20 ha interrotto il suo viaggio.

Tutto cominciò dieci giorni fa, quando i braccianti agricoli aderenti alle tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) decisero d’intraprendere una grande azione unitaria. Si trattava di ottenere un aumento del 10 per cento sulle paghe, ma soprattutto il riconoscimento di un elementare diritto fino ad oggi negato: la parità di trattamento salariale tra addetti a uno stesso lavoro in due zone diverse di una stessa provincia. Questo infatti è un paese in cui si può ancora morire battendosi non per equiparare i salari di Avola a quelli di Milano, ma per ottenere che il bracciante di Avola abbia un salario non inferiore a quello del bracciante di Lentini. Perché la provincia di Siracusa è divisa in due zone: la zona A, che comprende i braccianti di Lentini, Carlentini e Francoforte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona B, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110 lire.

Tutto questo, nonostante che la provincia di Siracusa sia una tra le più floride della Sicilia. Florida cioè per i proprietari terrieri, che da ogni ettaro di agrumeto riescono a trarre annualmente un reddito netto che varia tra le 600 e le 800 mila lire. In realtà, il reddito medio pro capite in provincia di Siracusa è tra i più bassi d’Italia. E se la media statistica crolla a questi valori da mondo sottosviluppato, è per le condizioni di vita del bracciantato locale. Per questo già due anni fa ci furono rivendicazioni e proteste, e a Lentini una serie di gravissimi incidenti con poliziotti e carabinieri. Anche allora si trattava di un’azione sindacale originata dal rinnovo del contratto di lavoro. Ma allora c’erano stati dei feriti. Oggi si piangono i morti.

Di fronte al rifiuto degli agrari di prendere contatto con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, il 25 novembre scorso, lunedì, 32.000 lavoratori agricoli incrociano le braccia abbandonando i “giardini” dove in questi giorni maturano gli aranci. All’azione partecipano, consapevoli dell’importanza del problema, tutti i sindaci dei paesi interessati, socialisti, democristiani, comunisti. Ma i proprietari non cedono, rifiutano l’incontro e la contrattazione, adottano ogni sorta d’espediente per prendere tempo. Così, dalle piazze dei paesi i braccianti in sciopero dilagano lungo le strade provinciali, innalzano blocchi di pietre nella speranza che le interruzioni del traffico attirino l’attenzione del governo. E infatti qualcuno si accorge delle pietre, dei blocchi delle strade, del traffico difficile: ma non del problema per il quale ci si batte. Il prefetto di Siracusa convoca il sindaco socialista di Avola e lo invita a intervenire perché i blocchi vengano rimossi e il traffico possa riprendere immediatamente. «Lei è il primo cittadino di questo paese», dice in sostanza il prefetto, «e il suo dovere è dunque quello di indossare la fascia tricolore e di raggiungere gli scioperanti per convincerli a sciogliere la manifestazione». Ma il sindaco Danaro non è affatto d’accordo. «Indosserò la fascia tricolore», risponde, «e andrò a unirmi agli scioperanti per presentarmi alla polizia e intimarle di abbandonare il paese».

Così avviene, infatti. E così, nel primo pomeriggio di lunedì, mentre un centinaio di braccianti agricoli sono intorno a uno sbarramento di pietre eretto al 20° chilometro della statale 115, poco prima del bivio per il Lido di Avola, nove camionette cariche di agenti, per complessivi novanta uomini, arrivano da Siracusa e si arrestano di fronte al blocco intimandone lo smantellamento immediato. Sono novanta uomini col mitra in mano, il tascapane pieno di bombe lacrimogene, l’elmetto d’acciaio col sottogola abbassato. È quanto basta perché i braccianti esasperati reagiscano con un primo lancio di pietre. I poliziotti sbandano. L’ufficiale che li comanda grida un ordine secco, e una prima scarica di bombe piove sul gruppo degli scioperanti sprigionando una densa nuvola di fumo bianco. Ma il gas, invece di intossicare gli operai, investe, trasportato dal vento, gli stessi poliziotti i quali vengono contemporaneamente respinti da una seconda bordata di pietre. I piani di battaglia elaborati al tavolino dai comandanti delle forze dell’ordine sono travolti dagli avvenimenti. Da uno scontro frontale la battaglia si frantuma in una serie di piccoli episodi di violenza, uomo contro uomo, e dalla strada si trasferisce nei campi circostanti.
Altri braccianti accorrono dal paese e dalle case coloniche vicine. Disseminati e privi di collegamento tra loro, i poliziotti rischiano di venire sopraffatti. Perdono la testa. Qualcuno comincia a sparare. In pochi secondi le grida che fino a quel momento avevano dominato il campo di battaglia vengono coperte da una serie di scariche frastornanti, ininterrotte, un inferno che soffoca il gemito dei primi feriti. Le file dei braccianti indietreggiano, gli uomini si danno alla fuga, la polizia rimane padrona del campo. Ma è una vittoria talmente amara e tragica, che le forze dell’ordine non se la sentono di presidiare il campo di battaglia. Dopo aver operato una diecina di fermi e aver smantellato il blocco stradale, gli agenti abbandonano la zona e lo stesso centro di Avola, consapevoli che la loro presenza potrebbe scatenare reazioni.

Adesso, alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare incredibile. Ma il cordoglio, come del resto la destituzione del questore di Siracusa Vincenzo Politi o le deplorazioni ufficiali, evidentemente non bastano.

Telegramma ai socialisti
Perchè in italia si spara ancora sui braccianti, sugli operai, sui contadini? Il segretario regionale del Psi, Lauricella, la Uil siciliana, i socialisti della Cgil siciliana hanno telegrafato ai loro compagni impegnati nelle trattative di governo per esigere, come condizione irrinunciabile della partecipazione socialista a una nuova coalizione di centro-sinistra, l’immediato disarmo della polizia. «In questa amara circostanza», ha detto Vito Scalia, segretario confederale della Cisl (e originario di questa zona), «sono costretto a ricordare di aver chiesto già da molto tempo, e precisamente all’indomani dei tristi fatti di Ceccano, la creazione di speciali reparti di polizia del lavoro privi di armi e dotati soltanto di normali mezzi di sfollamento. Come tutta conseguenza, venni additato a una specie di linciaggio morale da parte del paese; ma se quella proposta fosse stata accolta, oggi non si piangerebbe sulle spoglie di morti innocenti e sulle ferite di tanti lavoratori».

il nostro Calendario: 20 Agosto

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Cronologia sintetica della Primavera di Praga

Il 1968 si apre a Praga con la ripresa del plenum del Comitato centrale (Cc) del Partito comunista cecoslovacco (Pcc) del 3 gennaio, lo scontro è tra stalinisti (Novotný), legati all’Urss di Leonid Brežnev, e il gruppo dei riformisti (Dubček, Oldrik, Cernik, Smrkovsky e Mlynar), che, fra l’altro, punta ad una decisa riforma dell’economia ed alla progressiva separazione del ruolo e del potere del partito dagli organismi istituzionali e dal governo.

5 gennaio: di fronte alla situazione di grave crisi economica e al malcontento popolare, Novotný rassegna le dimissioni dalla carica di primo segretario del PCC; al suo posto viene eletto Alexander Dubček.

22 febbraio: primi contrasti in occasione dei festeggiamenti per il XX anniversario della presa del potere del partito comunista in Cecoslovacchia.

21 marzo: Novotný è costretto a lasciare anche la presidenza della Repubblica, viene sostituito da Ludvik Svoboda.

5 Aprile: dopo una discussione durata cinque giorni, il Comitato centrale del PC cecoslovacco approva il “Programma d’azione” elaborato dal gruppo dei riformisti.

5-7 maggio: visita a Praga del segretario del PCI Luigi Longo che esprime la solidarietà del partito con la lotta per lo sviluppo della democrazia in Cecoslovacchia.

Fine maggio: il Ministero della difesa annuncia per il giugno manovre militari del Patto di Varsavia sul territorio cecoslovacco. Viene annunciata dal Comitato centrale del PCC la convocazione in settembre del XIV congresso straordinario del Partito.

27 giugno: pubblicazione del “Manifesto delle 2000 parole” redatto dallo scrittore Ludvik Vasulik e poi sottoscritto da migliaia di esponenti del mondo della cultura, dell’arte e dello sport. Il documento sollecita un’accelerazione del processo di democratizzazione in atto suscitando sia all’interno del PC cecoslovacco sia da parte sovietica.

7 luglio: la Pravda pubblica un articolo teorico che mette in guardia contro gli esperimenti tentati a Belgrado, Bucarest e Praga. Il 15 ed il 24 luglio successivi, analoghi articoli sulla stampa della Repubblica Democratica Tedesca denunciano apertamente il “rischio imperialista” e la “contro- rivoluzione rampante” in atto in Cecoslovacchia.

19 agosto: Dubček riceve una dura lettera da parte di Brežnev, segretario del Pcus, nella quale si esprime “insoddisfazione” per gli sviluppi della situazione in Cecoslovacchia.

20 agosto: alle ore 23 truppe di Unione Sovietica, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Ungheria e Bulgaria invadono la Cecoslovacchia, impedendo ai riformisti qualsiasi tentativo di reazione. I comunisti cecoslovacchi, guidati da Alexander Dubček, sono costretti dal precipitare degli eventi a riunire in una fabbrica alla periferia di Praga il XIV congresso del partito. A conclusione dei lavori viene approvato integralmente il Programma d’azione pubblicato in aprile. La situazione determinatasi nel Paese impedisce ulteriori sviluppi di tale deliberazione.

24-27 agosto: Dubček e gli altri esponenti del governo cecoslovacco, condotti a Mosca, devono accettare la presenza delle truppe straniere e rinunciare all’attuazione del programma di riforme.

16 gennaio 1969: per protestare contro il processo di normalizzazione avviato con l’invasione sovietica, lo studente Jan Palach si cosparge di benzina e si dà fuoco in piazza San Venceslao a Praga; il suo esempio viene seguito da una ventina di giovani in tutto il Paese.

17 aprile 1969: Dubček viene destituito e sostituito con Gustav Husák.

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Il primo ottobre 1970 entrò in vigore il decreto del ministero degli interni che ordinava “misure d’urgenza nei luoghi culturali per garantire la purezza e la trasparenza del lavoro ideologico” provocando un’ondata massiccia di licenziamenti, che in quattro anni toccarono più del 70% del personale artistico e scientifico, soprattutto nelle case della cultura (85%) seguite dalle case editrici (82%). [. . . ]

Per quanto riguarda la produzione letteraria propriamente detta, 1089 libri furono mandati al macero solo nell’ambito ceco e slovacco. A questi si aggiunsero 398 titoli ritirati dalla circolazione, e 421 autori si ritrovarono all’indice, di cui 153 (fra i quali ventuno classici) per l’insieme della loro opera. Una trentina di scrittori stranieri per un totale di 130 titoli vennero a completare questa lista (a mo’ di paragone, l’elenco delle opere “indesiderabili” pubblicata all’attenzione delle biblioteche nel 1960 comprendeva 6590 titoli).

Più sottili furono gli interventi praticati nei testi degli autori destinati a essere “rivisti” con la scusa di “anticipare le influenze nocive e le idee sbagliate di alcune opere”. Fra i portatori di idee sbagliate, Shakespeare, Lope de Vega, Calderon, Molière, Corneille, Goethe, Schiller, Dostoevskij, Goncˇarov, Cˇechov, Whitman, Ibsen, Strindberg, Baudelaire, Flaubert, Verlaine, Apollinaire, Shaw. . .

In totale circa diecimila interventi diretti della censura ebbero luogo in otto anni, tra rappresentazioni teatrali o musicali vietate, mostre mai realizzate (fra cui quelle dedica- te all’arte gotica nella Boemia meridionale e all’arte barocca a Plzenˇ ), manifestazioni culturali abortite, libri vietati o ritirati dalle biblioteche, testi “attualizzati”.

La censura non risparmierà neanche l’istituto della protezione dei monumenti storici, accusato di fare propaganda religiosa. Durante questo stesso periodo l’istituto si vedrà vietare per 129 volte il restauro di edifici appartenenti all’architettura sacra. Inoltre numerose domande di ricerche archeologiche, etnografiche o storiche verranno rifiutate, e 65 località dichiarate “siti classificati” saranno definitivamente distrutte nei primi anni della normalizzazione. (Patrik Ouˇredník,  Cecoslovacchia: le condizioni della cultura.)

Leggi qui un estratto di Jiri Pelikan tratto da“Io, esule indigesto. Il Pci e la lezione del ’68 di Praga”

il nostro Calendario: 18 luglio

1918-2018: Centenario della nascita di Madiba

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Mandela, Nelson Rolihlahla

Uomo politico sudafricano (Qunu, Umtata, 1918 – Johannesburg 2013). Partecipò nel 1944 alla fondazione della lega giovanile dell’African national congress (ANC), di cui divenne nel 1950 presidente. Tra i promotori degli scioperi contro le leggi sulla segregazione dei neri, subì numerosi arresti; convintosi in seguito della necessità di passare alla lotta armata, fondò (1961) un’organizzazione clandestina. Fu condannato all’ergastolo nel 1964 e divenne il simbolo della lotta al segregazionismo in tutto il mondo. Liberato nel 1990, svolse un ruolo di primo piano nel processo di democratizzazione del paese. Premio Nobel per la pace insieme a F.W. de Klerk (1993), è stato poi presidente della Repubblica (1994-99). Continua a leggere “il nostro Calendario: 18 luglio”

il nostro Calendario: 14 luglio

Attentato-a-Togliatti
Il 1° gennaio del 1948 in Italia entrò in vigore la Costituzione repubblicana. Quello stesso giorno Pietro Nenni, leader dell’unico partito socialista europeo di una certa grandezza legato in un Fronte popolare a quello comunista, scrisse sull’«Avanti!» che era giunto il momento di «adeguare il 1948 al 1848». La Democrazia cristiana raccolse la sfida implicita nel richiamo nenniano agli eventi rivoluzionari di un secolo prima e diede alle stampe un manifesto dove comparivano l’aquila asburgica accanto a «1848» e la falce e martello vicina a «1948». Lo slogan del cartellone Dc era: «Allora contro lo straniero/ oggi contro la tirannia».
La sinistra rispose con un poster da cui si affacciava Giuseppe Garibaldi che si rivolgeva al leader trentino con queste parole: «Bada De Gasperi, che nessun austriaco me l’ha mai fatta». Iniziava la sfida: i socialcomunisti, nel nome appunto di Garibaldi, il 18 aprile del 1948 cercavano di travolgere la Dc alle prime elezioni politiche del secondo dopoguerra. E di punire in tal modo Alcide De Gasperi, che un anno prima li aveva cacciati dal governo.
Il risultato di quella consultazione elettorale — precisano Mario Avagliano e Marco Palmieri in 1948. Gli italiani nell’anno della svolta di imminente pubblicazione per i tipi del Mulino — non era affatto scontato. Sulla base dei risultati di precedenti turni di amministrative, comunisti e socialisti credevano di poter agevolmente sopravanzare la Dc. Invece lo scrutinio assegnò a sorpresa un trionfo alla Dc (che ottenne la maggioranza assoluta dei seggi), e decretò l’insuccesso di Pci e Psi, distanziati di quasi 20 punti.
Tre mesi dopo, il 14 luglio, un giovane siciliano iscritto al Partito liberale, Antonio Pallante squilibrato e senza mandanti), attenta alla vita di Palmiro Togliatti mentre sta uscendo, assieme a Nilde Iotti, da un portone secondario di Montecitorio.
Continua a leggere “il nostro Calendario: 14 luglio”

Il nostro Calendario: 9 Luglio

1978, 9 luglio: il giuramento del Presidente

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Il Giuramento del Presidente
Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione

Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali!
Nella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno, perché sapevo che sarei stato solo io a pagare, solo con la mia fede politica e con la mia coscienza.
Adesso, invece, so che le conseguenze di ogni mio atto si rifletteranno sullo Stato, sulla nazione intera.
Da qui il mio doveroso proposito di osservare lealmente e scrupolosamente il giuramento di fedeltà alla Costituzione, pronunciato dinanzi a voi, rappresentanti del popolo sovrano.
Dovrò essere il tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali dei cittadini.
Dovrò difendere l’unità e l’indipendenza della nazione nel rispetto degli impegni internazionali e delle sue alleanze, liberamente contratte.
Dobbiamo prepararci ad inserire sempre più l’Italia nella comunità più vasta che è l’Europa, avviata alla sua unificazione con il parlamento europeo, che l’anno prossimo sarà eletto a suffragio diretto.
L’Italia a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame.
Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra.
Continua a leggere “Il nostro Calendario: 9 Luglio”

il nostro Calendario: 9 maggio

1978: La tragica fine del sequestro di Aldo Moro

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Dopo 55 giorni di prigionia, la Renault rossa al cui interno si trova il corpo senza vita di Aldo Moro viene fatta ritrovare dalle Brigate Rosse in via Caetani.

Si tratta dell’epilogo tragico di una lunga vicenda che si è svolta negli anni bui del terrorismo italiano, che potete rileggere qui.

Per il nostro omaggio, abbiamo scelto la lettura che fa Luca Zingaretti dell’ultima lettera di Aldo Moro alla moglie.

1978: Assassinio di Peppino Impastato

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« Nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio,
negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare,
aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato,
si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore. »

(Dalla canzone I cento passi dei Modena City Ramblers)

Peppino Impastato è stato un militante politico, impegnato in prima persona in Democrazia Proletaria, attivista culturale, giornalista e animatore di Radio Aut, la voce della denuncia sgarbata e ironica delle attività illecite e mafiose che si svolgevano nel territorio di Cinisi (PA). Peppino viene fatto tacere dalla mafia il 9 maggio, quando con il suo cadavere viene messo in scena un attentato.peppino_impastato004-1000x600

All’ombra del ritrovamento di Aldo Moro, la verità su sicari e mandanti di quest’omicidio mafioso faticherà a venire a galla, e ancora adesso non tutto è stato chiarito sulle dinamiche del clamoroso depistaggio.

 

il nostro Calendario: il Maggio francese

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Il Maggio 1968 in Francia

Guarda lo speciale di Rai Storia: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-889ef59f-8c17-4dcf-b295-c87df65abe4a.html?iframe&ensrbn=false

Testimonianza di René Lourau

Mi chiamo René Lourau e sono attualmente professore di sociologia all’Università di Paris 8, cioè un’università inaugurata nel ’68 a Vincennes. Mi occupo ormai da molto tempo di un filone di ricerca denominato «analisi istituzionale», in stretto rapporto con l’autogestione e con le idee libertarie in quanto si tratta di analisi e critica dello Stato.

È appunto nel ’68 che ho cominciato queste ricerche, quando ero assistente di Henri Lefevre all’Università di Nanterre. È noto che molti degli eventi del ’68 sono cominciati nel dipartimento di sociologia di Nanterre, dove non c’erano soltanto docenti come Henri Lefrevre o Jean Baudrillard, ma c’erano anche degli studenti, come un certo Cohn-Bendit o come Duteuil e qualche altro. Quindi il ’68 è per me non un simbolo ma una realtà. Continua a leggere “il nostro Calendario: il Maggio francese”

Il nostro Calendario: 5 maggio

200° della nascita di Karl Marx

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« Kant e Fichte vagavano fra nuvole
lassù cercando un paese lontano.
Io cerco d’afferrare con destrezza
solo quanto ho trovato sulla strada »  Karl Marx

Karl Marx  è stato prima di tutto un rivoluzionario, come disse Friedrich Engels. Le sue idee e opere hanno influenzato buona parte della storia a partire dall’Ottocento.

Una puntata RAI ne ripercorre i passaggi salienti: https://www.raiplay.it/video/2018/04/Passato-e-presente—KARL-MARX-il-pensiero-rivoluzionario-8a29d390-ce71-4651-93d9-d2319110c87a.html

Cronologia della vita e opere 

1818 Karl Heinrich Marx nasce il 5 maggio a Treviri, la più antica città della Germania, all’una e mezza di notte. Il padre è un affermato avvocato di origine ebraica, così anche la madre di Marx, Henrietta Pressburg. 

1830 Si iscrive al Liceo-ginnasio di Treviri. Si dedica agli studi classici e letterari, trascurando la storia. 
Continua a leggere “Il nostro Calendario: 5 maggio”

il nostro Calendario: 1 Maggio

«Spezza il tuo bisogno e la tua paura di essere schiavo, il pane è libertà, la libertà è pane».  Albert R. Parsons

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La Festa del Lavoro o Festa dei Lavoratori viene celebrata ogni anno il 1º maggio in molti paesi del mondo per ricordare la lotta dei lavoratori per la riduzione della giornata lavorativa.

 

Guarda qui il video che ne racconta la storia in pochi minuti:

Approfondisci leggendo un capitolo tratto da pdf FRANCESCO RENDA, Storia del Primo Maggio, Ediesse 2009 (Capitolo 7 – Il 1° maggio 1890)