il nostro Calendario: 2 Agosto

Stazione di Bologna, 2 agosto 1980, ore 10,25

 

Da il racconto della strage, A cura di Massimiliano Boschi e Cinzia Venturoli, Yema, 2005:

Sabato 2 agosto 1980 alle 10,25 un ordigno ad alto potenziale esplose nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna: lo scoppio fu violentissimo e provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe, dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar, e di circa 30 metri di pensilina. L’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso, in sosta al primo binario. Il bilancio di questa strage, la più efferata compiuta nell’Italia repubblicana, fu di 85 morti e 200 feriti. I soccorsi vennero organizzati immediatamente e ancora prima dell’arrivo delle ambulanze e dei vigili del fuoco i sopravvissuti vennero aiutati da passanti, ferrovieri e tassisti. Anche le automobili private furono utilizzate per il trasporto dei feriti e fecero la spola fra stazione e ospedali.

Si composero lunghe catene umane, formate da volontari, vigili del fuoco, soldati di leva in cui venivano passati i calcinacci e i mattoni nel tentativo di liberare la zona dell’esplosione, sperando di trovare persone vive, seppur ferite, sotto le macerie. Spesso si trovarono a lavorare fianco a fianco persone diverse, persone che, a Bologna, si erano trovate a fronteggiarsi anche aspramente sul piano politico Questa contrapposizione, in un certo senso ricomposta per l’emergenza, ritornò però durante le manifestazioni che segnarono la reazione politica di Bologna

Da un cantiere vicino giunsero quasi immediatamente ruspe e scavatori, poi affiancati da altri mezzi. Nella notte del 2 agosto venne terminato il primo lavoro di sgombero delle macerie, tutti i feriti erano stati soccorsi ed i morti ricomposti negli obitori trasportati anche con quell’autobus 37 che divenne nelle immagini e nella memoria uno dei simboli della strage. Nelle testimonianze dei feriti il ricordo è quello di aver avuto soccorsi immediati, di essere stati accolti negli ospedali e curati prontamente, di avere trovato anche comprensione e consolazione. L’amministrazione comunale istituì un Centro di coordinamento dove fu possibile, per i parenti delle vittime e dei feriti, essere ascoltati, assistiti ed ospitati.

Alle 17,30 del 2 agosto, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all’aeroporto di Borgo Panigale, si precipitò all’ospedale Maggiore dove era ricoverati molti dei feriti e dove era allestita una delle tre camere mortuarie. Incontrando i giornalisti Pertini non nascose lo sgomento: “Signori, non ho parole”, disse, “siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.

Ancora prima dei funerali si svolsero numerose manifestazioni a testimonianza delle immediate reazioni della città: la sera del 2 agosto venne indetta una manifestazione in piazza Maggiore, il cuore della città; il 4 agosto 30, 40 mila persone si ritrovarono nella stessa piazza.

Il 6 agosto, giorno dei funerali, le persone giunte a Bologna da tutta Italia riempirono anche le piazze e le vie circostanti Piazza Maggiore. In questa occasione si mostrarono nuovamente i contrasti fra due diverse componenti politiche: chi si riconosceva nel partito comunista e nei sindacati e chi si sentiva più vicino alla sinistra extraparlamentare, al movimento. Lo striscione portato da questi ultimi (la strage è dei padroni, nessuna delega alle istituzioni) fu fatto allontanare dalla piazza. Non tutti i parenti delle vittime vollero, però, il funerale di Stato: solo sette le bare presenti nella chiesa di San Petronio.

Fuori della chiesa, la gente contestò le autorità, così come era già successo durante il funerale delle vittime della strage dell’Italicus avvenuta a San Benedetto Val di Sambro il 4 agosto 1974. Solo Sandro Pertini e il sindaco di Bologna, Renato Zangheri, ricevettero applausi. Dalla piazza si domandava ai rappresentanti delle istituzioni giustizia e chiarezza, le stesse richieste che fece il Sindaco nel suo discorso.

Dopo i funerali la necessità di testimoniare solidarietà alle vittime e indignazione verso una strage così efferata, una strage di cui tutti i giornali del mondo si occuparono: dalla Francia all’Unione Sovietica e dalla Germania alla Cina, si concretizzò nell’allestimento, spontaneo, di quella che fu poi definita la rete del pianto: Sulla recinzione posta in stazione a delimitare il luogo devastato dall’esplosione vennero portati fiori, striscioni, messaggi, poesie e lettere in cui alla pietà si accostava sempre al richiesta di giustizia e chiarezza.

Le indagini dei magistrati subirono diversi tentativi di depistaggio. Nel 1995, vennero infine condannati all’ergastolo in via definitiva come esecutori della strage i terroristi dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari- formazione di estrema destra) Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca

Mambro. Luigi Ciavardini, anch’egli esponente dei Nar e minorenne all’epoca dei fatti, è stato condannato in via definitiva nel 2007 a 30 come esecutore materiale della strage. Per i depistaggi furono condannati Francesco Pazienza, Licio Gelli – gran maestro della loggia massonica P2, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte.

numeri strage bologna

 



Da Trento a Bologna, storia degli attentati sui treni italiani

Trent’anni di sangue. 1967-1984: la strategia della tensione corre sui binari, poi nel ’93 da Capaci inizia l’offensiva stragista di Cosa nostra contro lo stato

di Saverio Ferrari (il Manifesto, 2/8/2019)

«Attentati a uffici, magazzini, cinema, linee ferroviarie. L’opinione pubblica, sempre scontenta e avida di tranquillità, si sarebbe indignata e avrebbe invocato l’ordine senza curarsi da quale parte sarebbe venuto». A parlare in questo modo era Pino Rauti, il giovane leader della corrente evoliana, nel corso di una riunione interna dell’Msi, a Roma, negli anni Cinquanta. A riportare le sue parole fu Giulio Salierno, all’epoca dirigente giovanile della sezione di Colle Oppio, nella sua Autobiografia di un picchiatore fascista (Einaudi, 1976).

Certo è che a partire dagli anni Sessanta i treni e le linee ferroviarie furono oggetto di un’infinità di attentati da parte del terrorismo neofascista.

36 attentati in meno di trent’anni e 4 stragi (Freccia del Sud, Italicus, Bologna e Rapido 904). I morti sono stati 121 (di cui 85 solo a Bologna), i feriti 598

TRENTO, 30 SETTEMBRE 1967

Il primo tentativo di strage fu quello compiuto il 30 settembre 1967 alla stazione di Trento, quando fu segnalata sull’Alpen Express una valigia sospetta abbandonata.

Due agenti la prelevarono e tentarono di portarla il più lontano possibile. Alle 14.44, zeppa di esplosivo, scoppiò tra le loro mani, uccidendoli. L’attentato fu addebitato al terrorismo sudtirolese.

1969, VERSO PIAZZA FONTANA

Nell’escalation degli attentati che nel 1969 portarono alla strage in piazza Fontana, un posto di rilievo ebbe la collocazione, tra l’8 e il 9 agosto 1969, su dieci treni di altrettanti pacchi esplosivi. Due fecero cilecca ma otto scoppiarono. Dodici furono i feriti, tutti in modo lieve.

Per questi episodi Franco Freda e Giovanni Ventura di Ordine nuovo, l’organizzazione fondata da Rauti, furono condannati con sentenza definitiva.

1970, DA GIOIA TAURO A VERONA

La prima strage riuscita su un treno fu quella del 22 luglio 1970, quando il direttissimo Palermo-Torino (la «Freccia del Sud») fu fatto deragliare nei pressi della stazione di Gioia Tauro. Alla fine si contarono sei morti, di cui cinque donne, e 72 feriti.

Da otto giorni era in corso la rivolta di Reggio Calabria, scoppiata il 14 luglio. La verità emerse solo 23 anni dopo, quando alcuni pentiti confessarono che la strage fu eseguita su mandato del «Comitato d’azione per Reggio capoluogo» e che a portarla a termine fu un commando neofascista.

Poche settimane dopo, il 28 agosto 1970, fu rinvenuta nella sala passeggeri della stazione ferroviaria di Verona una valigia abbandonata da cui proveniva un ticchettio di orologio. Notata da un sottufficiale della Polfer, fu portata in un luogo isolato dove esplose un’ora dopo.

1971, LA VISITA DI TITO IN ITALIA

In concomitanza con la preannunciata visita del maresciallo Tito in Italia, un grave attentato fu, invece, organizzato, il 28 marzo 1971, per colpire il treno diretto a Venezia, all’altezza di Grumolo delle Abbadesse. Settantadue centimetri di binario furono tranciati da un ordigno. Il convoglio rischiò di deragliare, salvandosi solo grazie alla sua velocità.

1974, L’«ITALICUS»

Tra il 1973 e il 1974 gli attentati sui treni furono ben 14 con una strage riuscita.

Questi gli episodi principali: il 7 aprile 1973, sulla linea Genova-Roma, con il tentativo di Nico Azzi, di Ordine nuovo, di innescare una carica esplosiva in una toilette del treno. Azzi rimase ferito dallo scoppio del detonatore e immediatamente arrestato. Il 29 gennaio 1974 a Silvi Marina, in provincia di Teramo, con l’inatteso passaggio del locomotore di un treno merci che tagliò la miccia dell’ordigno posto sui binari. Il 21 aprile 1974 a Vaiano, in provincia di Firenze, quando la strage fu, invece, evitata grazie al blocco automatico dei treni in caso di interruzione dei binari. La carica esplosiva aveva, infatti, divelto oltre mezzo metro di rotaie.

La strage si compì, invece, il 4 agosto 1974, sul treno espresso Roma-Brennero, l’«Italicus», proveniente da Firenze e diretto a Bologna, a cento metri dallo sbocco della Grande galleria dell’Appennino. Il bilancio fu di 12 morti e 44 feriti.

TRA IL 1975 E IL 1978

Si continuò ancora a colpire treni e linee ferroviarie negli anni successivi. Il 6 gennaio 1975 a Terontola, quando 55 centimetri di rotaia furono divelti da una carica di polvere da mina.

Il 12 aprile 1975, all’altezza di Incisa Val D’Arno, quando un ordigno fece, invece, sollevare quaranta centimetri di rotaia.

Il 6 febbraio 1977, in compenso, la polizia disinnescò alla stazione Tiburtina di Roma sette candelotti di dinamite sull’espresso Napoli-Milano.

Il 5 settembre 1978, infine, cinque chili di esplosivo, tra le stazioni di Vaiano e Vernio, avrebbero dovuto scoppiare sotto la motrice dell’espresso «Conca d’oro», che viaggiava da Milano a Palermo. Rimasero feriti i macchinisti di un treno che passò al momento dell’esplosione.

85 morti e 200 feriti, alla stazione di Bologna la strage più sanguinosa della Repubblica italiana

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vignetta di Mauro Biani per il Manifesto, 2/8/2013

1980, LA STRAGE DI BOLOGNA

Quella del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna fu la strage non solo più importante sulle linee ferroviarie ma la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica. Alle 10.25 la terribile esplosione. Crollava un’intera ala della stazione, affollatissima per le grandi partenze estive, che a seguito della potenza micidiale dell’ordigno, prima si sollevava e poi ricadeva su se stessa. Il treno Ancona-Basilea, in sosta sul primo binario, veniva investito in pieno dall’onda d’urto.

Tra le lamiere fuse e contorte venivano estratti i corpi di decine e decine di persone. Settantacinque le vittime subito recuperate. Altre dieci moriranno nei giorni successivi. Alla fine si conteranno 85 morti, 74 italiani e 11 stranieri, e 200 feriti.

È attualmente in corso dal 21 marzo 2018 un nuovo processo nei confronti di Gilberto Cavallini, ex Nuclei armati rivoluzionari (Nar), accusato di concorso per aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva per la strage, i primi due all’ergastolo e il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni.

1981 E ANCORA DOPO

Non finì ancora. Il 12 febbraio 1981, otto mesi dopo, ben cinque kg di esplosivo furono rinvenuti sulla linea ferroviaria di Venezia, allo snodo di Porto Marghera. L’innesco non aveva funzionato.

Mentre il 9 settembre 1983, il treno 571 Milano-Palermo, mille passeggeri a bordo, in transito sul viadotto alto cinquanta metri del fiume Bisenzio, venne investito da un’esplosione, mentre incrociava un altro treno. Se l’atto terroristico avesse avuto pieno successo i morti si sarebbero contati a centinaia.

IL TRATTO AREZZO-BOLOGNA

Complessivamente sul solo tratto Arezzo-Bologna di 120 chilometri, ben otto furono i tentativi falliti e tre le stragi riuscite: il 4 agosto 1974 sul treno «Italicus», il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna e il 23 dicembre 1984, sul«Rapido 904», all’interno della Grande galleria dell’Appennino. Fu l’ultima, con 16 morti e 267 feriti.

I LEGAMI CON COSA NOSTRA

Con essa si apriva un’altra stagione con l’avvio da parte di Cosa nostra di un’azione offensiva nei confronti dello Stato, che porterà alle stragi di Capaci, via D’Amelio e alle bombe del 1993.

La continuità era data dall’impiego di uomini e mezzi provenienti dall’eversione nera. Ne fa fede la condanna nel processo stralcio per la strage del «Rapido 904» del parlamentare missino Massimo Abbatangelo. Non fu condannato per la strage ma per aver detenuto e fornito esplosivi ai clan camorristici.

Dalle indagini risultò anche che l’esplosivo usato per la strage di via D’Amelio fosse dello stesso tipo di quello del 23 dicembre 1984, mai utilizzato in precedenza da Cosa nostra.


Stazione di Bologna. Trentadue anni

“E’ nel cuore torbido delle istituzioni che van­no ricercati i man­danti”

Stazione di Bologna, 2 agosto 1980, ore 10:25. Nella sala d’aspetto di 2ª classe del­la stazione di Bologna esplode un or­digno a tempo, contenuto in una valigia abban­donata. Un boato, 85 mor­ti, 200 feriti e le lan­cette di quell’orolo­gio che si fermano.

Per la strage politica di Bologna esiste una verità giudiziaria. Condannati come autori materiali della strage i terroristi di destra Giuseppe Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, che ad ogni modo continuano a dichiararsi innocenti. Sui mandanti invece non ci sono certezze.

“È nel cuore torbido delle istituzioni che vanno ricercati i mandanti” dice il manifesto dell’associazione dei parenti delle vittime della strage per quest’ennesi­mo anni­versario senza verità.

DIECIeVENTICINQUE a Bologna vuol dire qualcosa.

È un simbolo, un orologio interrotto con quelle lancette ferme che stiamo pro­vando a rimettere in moto. Quell’orolo­gio è il simbolo di una storia, che ci uni­sce e che da nord a sud ci rende uguali.

Bologna come Palermo. Palermo come Bologna.

Intervista a Paolo Bolognesi

Presidente dell’associazione delle vitti­me della strage di Bologna

La domanda che tutti si sono fatti ri­pensando al 2 Agosto è “perché?”. Tutti gli atti, anche i più brutali, hanno uno scopo o una logica seppur orribile. Qual è il senso di quella bomba?

Creare una situazione di tensione, af­finché l’opinione pubblica fosse orienta­ta verso un blocco moderato. Noi abbia­mo avuto un periodo piuttosto lungo in cui il regolare corso democratico del no­stro paese è stato condizionato da stragi e ter­rorismo.

Prima c’è stata la strategia della guerra rivoluzionaria promossa dall’isti­tuto Pol­lio, quella che considerava qual­siasi meto­do, anche il più riprovevo­le, le­cito e giu­sto purché il partito comu­nista non andas­se al governo.

Poi c’è sta­ta la strategia della loggia P2 che prevede­va lo svuotamento dall’inter­no delle isti­tuzioni attraverso il controllo di quest’ulti­me: il cosiddetto “piano di ri­nascita”. Non è un caso che nel periodo della strage di Bolo­gna, tutti i vertici dei servizi fossero iscrit­ti alla P2.

Chi è stato?

Facciamo un discordo molto chiaro. In Italia ci sono state tredici stragi, escluse quelle di mafia.

In tutte non si è arrivati ai mandanti, in tutte abbiamo avuto i ser­vizi segreti che hanno cercato di depista­re, proteggendo gli esecutori materiali. In al­cuni casi si è arrivati a trovare gli auto­ri materiali attra­verso i collaboratori di giu­stizia. Una sola volta per via giudizia­ria: nel caso della strage di Bologna.

Ora, i vertici dei servizi sono nominati dalla pre­sidenza del consiglio, quindi è lì che biso­gna cercare i mandanti, quelli che hanno la responsabilità politica delle stra­gi. Una prova che non si sta parlando di fantapoli­tica ne è la trattativa tra Stato e mafia nei primi anni novanta, che oggi è ormai un fatto indiscutibile.

Da allora la fiducia nello Stato nel corso degli anni è diminuita o aumenta­ta?

Per quanto riguarda noi, senza fiducia nelle istituzioni non avremmo nemmeno un senso da dare a quest’associazione.

Con la nostra presenza e la nostra ricer­ca noi vogliamo dare una mano alle istitu­zioni. Un conto è lo Stato, fare valu­tazioni su chi ne ricopre le cariche è un al­tro.

Qualcuno dice cinicamente che lo Sta­to non può condannare se stesso. Lei è d’accordo con questa affermazione?

Questa è un’affermazione generica che semplifica troppo le cose. Io credo nelle istitu­zioni, la valutazione su chi ricopre le cari­che è un altro conto.

Crede che un periodo difficile, pieno di tensioni sociali come questo, possa ri­creare le condizioni che portarono alle stragi? Oggi sarebbe possibile un nuovo 2 Agosto?

È un momento che può portare a rivi­vere situazioni molto tragiche. Ovvia­mente il quadro è molto diverso da allo­ra, tuttavia oggi c’è un movimento tra i parti­ti e un rimescolamento che può scombus­solare le carte, creare dei vuoti di potere a cui bisogna stare molto atten­ti. Inoltre oggi con la rete è molto più sem­plice or­ganizzarsi.

Qual è lo scopo dell’associazione?

Avere giustizia, che per noi significa sa­pere la verità. Conoscere gli esecutori ma­teriali è importante ma il cerchio si chiu­derà quando e se si arriverà ai man­danti. O arrivi a svelare e punire determi­nate azioni in via giudiziaria, oppure sei con­dannato a riviverle costantemente, senza arrivare alla parola fine su questa strategia che ha frenato lo sviluppo demo­cratico del nostro paese.

Dopo dieci anni è arrivata la senten­za definitiva della cassazione sui fatti della Diaz, che ha decapitato i vertici della poli­zia. È un segnale positivo? Può fare da caso apripista per avere in Italia una giu­stizia vera e terza?

Certo, secondo me si. È solo un fatto positivo che ci sia stato un riconoscimen­to delle responsabilità di alti vertici delle istituzioni. Anche qui però mancano i po­litici.

Crede sul serio che potrà mai venire a galla la verità sulle stragi?

Perché no? Noi ci proviamo. Ci impe­gneremo affinché si rendano pubblici i documenti dei tribunali e continueremo a portare avanti la nostra battaglia per l’abolizione del segreto di Stato. Sono sfi­de proibitive ma se non ci provi non po­trai mai vincerle.

Qual è la soddisfazione più grande che le ha dato il suo impegno nell’asso­ciazione?

Vedere che l’associazione è diventata un punto di riferimento a livello interna­zionale, anche per studiosi esterni. A volte capita che le ambasciate che hanno visto i propri concittadini coinvolti in incidenti qui in Italia, chiamino prima noi e poi il ministero degli interni.

Questo giornale si chiama Diecie­venticinque perché crediamo che il modo mi­gliore per evitare che simili fatti si ripeta­no sia conservarne la me­moria. Lei vede questa consapevolezza nelle nuove generazioni?

Sì, la vedo. Facciamo molta attività nel­le scuole ed è bello vedere i ragazzi reagi­re con partecipazione alle nostre ini­ziative. Penso anche alle commemorazio­ni che ogni anno celebriamo il 2 Agosto qui a Bologna in ricordo della strage. Ogni anno di giovani ne vedo sempre di più e sempre più consapevoli. Lo conside­ro un segnale importante: vuol dire voler esser­ci.


Bologna Guttuso per Espresso
Dopo la bomba alla stazione, l’Espresso preparò un numero speciale e mise in copertina la riproduzione di un quadro di Renato Guttuso, realizzato apposta per l’occasione. Guttuso dette all’opera lo stesso titolo dell’incisione di Francisco Goya Il sonno della ragione genera mostri ed aggiunse la data della strage, 2 agosto 1980, unico riferimento al fatto specifico, vicino alla firma dell’autore. La tavola originale è esposta nel Museo Guttuso. Raffigura un mostro  con sembianze da uccello e corpo di uomo, denti aguzzi, occhi sbarrati e di fuoco, che tiene un pugnale nella mano destra e una bomba a mano nella sinistra, e colpisce alcuni corpi morti o morenti, sopra i quali sta a cavalcioni


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