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1975: inizia il “dopo Franco” in Spagna

Quarantacinque anni di post franchismo. Il lungo cammino della memoria spagnola di Francesco Filippi – 29 settembre 2020

(da lastoriatutta.org)

È appena stata approvata dal congresso dei deputati spagnolo una legge che prende il nome di Ley de la Memoria democrática . I dibattiti in Spagna si arroventano in particolare sulla possibilità che il ricordo degli anni della dittatura venga in qualche modo diretto e regolamentato da specifiche normative.

Un argomento quanto mai caldo, specie per le resistenze e le contrapposizioni che incontra il cammino della memoria pubblica nel paese che per ultimo in Europa si sbarazza di una dittatura che nasce e si consolida sotto l’egida dei fascismi europei. Un cammino complesso, che parte da lontano.

Francisco Franco è il dominatore incontrastato della scena politica spagnola per oltre un trentennio. instaurato nel 1939 un regime fascista “fratello” delle dittature italiana e tedesca, a cui fa seguito una ferocissima repressione degli esponenti repubblicani e dei combattenti internazionali – le fonti, ancor oggi discordanti, oscillano tra i 100mila e i 200mila morti nella fase di consolidamento del regime, “el Terror blanco”, fino al 1945- Franco già negli anni Quaranta tenta di slegare il suo destino da quello di Hitler e Mussolini, giocando la carta prima di una benevola neutralità nei confronti degli alleati e poi, a guerra finita, presentandosi al mondo come un campione dell’anticomunismo. Le contrapposizioni della Guerra Fredda fanno del dittatore una comoda pedina antisovietica. La storica visita del presidente statunitense Eisenhower in Spagna (1959) sdogana la dittatura franchista in Occidente, condannando al contempo la Spagna a un altro quindicennio di oppressione. Ma il regime, caratterizzato da un forte culto della personalità è destinato a non sopravvivere al suo fondatore.

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In principio fu la Transición: il lungo periodo di passaggio dallo stato franchista alla democrazia spagnola iniziato negli anni settanta, con Franco ancora in vita, e concluso con l’elezione a primo ministro di un socialista, Felipe Gonzáles, nel 1982.

La dipartita del “caudillo” e quella della sua creatura in qualche modo si assomigliano: una morte naturale, preceduta da una lunga, estenuante agonia. Mentre il vecchio dittatore consuma i suoi ultimi anni tra problemi di salute sempre più gravi, la dittatura che ha costruito sulle macerie della guerra civile mostra tutti i segni del tempo. Lontani ormai gli anni in cui Franco si vantava dell’amicizia con Hitler e Mussolini, il regime si dibatte in una stagnazione economica senza via d’uscita, mentre il vento del cambiamento portato dal Sessantotto si trasforma in Spagna in una stagione di scontri tra il governo e le formazioni indipendentiste che sfocia in attentati sanguinosi. L’élite franchista sa che non potrà sopravvivere indenne alla scomparsa del suo fondatore e cerca quindi di guidare il passaggio alla democrazia nel modo più indolore possibile soprattutto per sé stessa. La transizione inizia simbolicamente con il ripristino della monarchia, atto che teoricamente era uno degli scopi principali della sollevazione golpista nel 1936. Alla morte di Franco, nel novembre 1975, Juan Carlos di Borbone viene proclamato re di Spagna “in ricordo di Franco”: l’intento è quello di saldare pubblicamente i destini del giovane sovrano con quelli dell’establishment franchista. 

Il Tempo e la Storia - S2017 - La fine del franchismo - 15/06/2017 - Video  - RaiPlay

Intanto il regime cerca di svecchiare la propria immagine affidandosi a figure moderate, che intraprendono il processo di trasformazione della struttura del paese. Nel 1977 il governo Suárez, espressione dell’ala tecnocratica del regime, indice le prime elezioni libere dal 1936, in cui il blocco centrista da lui capeggiato conquista il 34% dei voti, tallonato dai socialisti (PSOE) col 29%. Il neo ricostituito partito comunista spagnolo sfiora il 10%. Sarà questo parlamento ad avere il compito di stilare la nuova costituzione promessa dai franchisti, in un clima di reciproca diffidenza e timore. Suárez tenta febbrilmente di portare avanti un progetto di riforma democratica senza far scivolare il paese nell’anarchia o nella dittatura militare: anche per questo il 15 ottobre 1977 viene varata la legge sull’Amnistia (46/1977), che sancisce l’impunibilità dei crimini di natura politica avvenuti prima del 5 dicembre del 1976.

Un po’ come era accaduto con l’amnistia Togliatti del giugno 1946 in Italia, l’intento dichiarato è quello di troncare sul nascere la possibile guerra giudiziaria tra franchisti e democratici, in nome della pacificazione della società spagnola. Il provvedimento vuole avere carattere bipartisan: sono amnistiati infatti non solo i reati commessi dai militanti politici contro il regime, ma anche (art. 2, par. “f”) “i delitti commessi da funzionari e agenti dell’ordine pubblico contro l’esercizio dei diritti delle persone”. Una norma che blinda la possibilità di indagare su più di trent’anni di dittatura e avvia il processo di passaggio “morbido” allo stato di diritto.

Guerra Fredda. Terza fase. La fine del Franchismo in Spagna

L’anno dopo, nel 1978, viene approvata la nuova Costituzione spagnola, che sancisce i principi di democrazia e uguaglianza tra i cittadini. A garanzia della tenuta democratica viene posta la Corona.

Mentre sulla bandiera spagnola l’aquila nera franchista perde lo scudo fascista che la aveva accompagnata dal 1939 acquistando l’emblema della casa reale, come simbolico passaggio incruento dalla dittatura alla monarchia, il lavorìo di ridefinizione dei confini storici della guerra civile continua. 

Nel marzo del 1979 le prime elezioni con la nuova costituzione premiano ancora l’ormai postfranchista Suárez, col 34% dei voti, anche se il PSOE di Felipe Gonzáles lo tallona al 30%. Uno dei provvedimenti del nuovo governo democratico è il varo della legge 5/1979, che prevede il riconoscimento del diritto alla pensione di guerra anche ai combattenti repubblicani della guerra civile e alle loro famiglie: la prima equiparazione formale dei repubblicani ai franchisti, a cui il regime aveva riconosciuto la pensione di guerra già negli anni Quaranta. In un clima di diffusa volontà di pacificare il paese, questo atto significativo soprattutto dal punto di vista economico pare voler mettere la parola fine alle istanze di riapertura dei dossier riguardanti la guerra civile e il regime.

Quante elezioni politiche ci sono state in Spagna? E quando si sono tenute?

Nel febbraio 1981 una frangia di militari irriducibili prova ad opporsi alla svolta democratica e tenta di occupare il parlamento. Il tentativo passerà alla storia come “el golpe de Tejero”, dal nome del tenente colonnello della Guardia Civil che, pistola in mano, cerca di prendere in ostaggio i deputati del congresso. Il golpe viene subito sconfessato e bloccato da re Juan Carlos, che in un accorato discorso alla nazione ribadisce il proprio ruolo di difensore della democrazia e della costituzione. Tejero, condannato per sedizione, uscirà di prigione nel 1996 e tenterà, con scarsa fortuna, la carriera politica. Paradossalmente, il golpe fallito segna anche la fine delle velleità autoritarie di una parte delle strutture di potere spagnole e delle paure della restante parte della società circa la tenuta della svolta: il processo di democratizzazione appare, soprattutto dopo la prova della violenza golpista, irreversibile. In quello stesso anno l’aquilotto franchista scompare del tutto dalla bandiera, lasciando da solo l’emblema della casa reale, ormai unico simbolo di unità del paese

Il golpe Tejero trent'anni dopo - Il Post

La società spagnola nel proprio complesso sembra in quegli anni voler voltare pagina: nel 1982 il governo guidato dal PSOE organizza con competenza la prima manifestazione internazionale del paese tornato alla democrazia: i mondiali di calcio di Spagna 1982, indimenticabili per gli italiani, sono anche il punto di partenza nella costruzione dell’immagine di una nuova Spagna aperta, efficiente, moderna. L’entrata nella Comunità Economica Europea nel 1986 e le Olimpiadi di Barcellona del 1992 segnano le tappe della rinascita di un paese che, pur tra tensioni sociali, spinte indipendentiste anche sanguinose, su tutte il terrorismo basco, cerca di riprendere il passo con il resto d’Europa dopo trent’anni di immobilismo. A incarnare la svolta il leader socialista, Felipe González, al governo per 14 anni.

A destra i franchisti ed ex franchisti, che si sono coagulati già nel 1977 attorno alla formazione Alianza Popular, cercano di costruire un polo conservatore che riunisca le varie anime della destra spagnola rimanendo nel contesto democratico. Nel 1989 la formazione cambia nome in Partido Popular (PP) e nel 1996, guidata da José Maria Aznar, vince le elezioni diventando la principale forza politica del paese. Se per il PSOE di González la priorità è stata quella costruire una nuova immagine della Spagna, demolendo il ricordo del franchismo attraverso gli evidenti successi della democrazia, Aznar si deve confrontare con la parte più conservatrice del proprio partito, che vede come un tabù la possibile revisione in senso critico della memoria franchista nel paese. Per più di due decenni la questione delle memorie in conflitto riguardanti la guerra civile sembra quindi, per un motivo o per l’altro, congelata, offuscata dal successo del modello spagnolo: sono soprattutto la crescita economica e la modernizzazione del paese a caratterizzare la ricostruzione identitaria di una società che si sente decisamente proiettata verso il futuro.  

Ma è proprio nel momento in cui il modello neoliberista raggiunge il suo apice e inizia lo stallo che la questione della memoria storica ritorna al centro del dibattito: ad Aznar un po’ fortunosamente – alla vigilia delle elezioni del 2004 il PP è dato in vantaggio ma la gestione mediatica degli attentati terroristici di Madrid da parte del governo porta al potere i socialisti – succede il PSOE di Zapatero, che prende subito di petto la questione della memoria e delle memorie di Spagna.

La prima legge organica che cerca di rianimare un dibattito mai realmente decollato sulle responsabilità e le conseguenze di un trentennio di dittatura si ha nel 2007, con la legge 52/2007, battezzata significativamente Ley de la Memoria Histórica.

Nel suo preambolo, la legge, prendendo atto che lo spirito di riconciliazione e concordia e di rispetto del pluralismo e la difesa pacifica di tutte le idee, che guidò la Transizione, ci permise di dotarci di una Costituzione…” [e che] “Lo spirito della Transizione dà senso al modello costituzionale di convivenza più fecondo di cui abbiamo mai goduto…” afferma anche però che “c’è necessità di dare risposta a quelli che “soffrirono le conseguenze della guerra civile e del regime dittatoriale che le succedette.”

La nuova legge, fortemente voluta dal governo socialista, che ne fa un punto dirimente del programma di riforma, vuole rappresentare una svolta nel rapporto tra il racconto della memoria pubblica spagnola e il franchismo, dopo un ventennio di sostanziale silenzio nei confronti di un passato troppo complesso da gestire.

Sempre nel preambolo di questa legge si esplicita che “diversi aspetti messi in relazione con la memoria personale e familiare, specialmente quando sono caratterizzati da conflitti di carattere pubblico, fanno parte dello statuto giuridico della cittadinanza democratica, …[riconoscendo a ognuno]… un diritto individuale alla memoria personale e familiare di ogni cittadino, che incontra la sua prima manifestazione nella Legge.”. Una legge che vuole quindi ristabilire il principio del diritto alla propria memoria, in particolare a tutela delle vittime della dittatura, a cui la memoria personale è stata pubblicamente negata sia dalla dittatura che dai primi venti anni di democrazia. La legge in concreto si occupa di portare avanti una politica pubblica che riconosca la legittimità formale della memoria delle vittime del franchismo, attraverso la revisione delle condanne inflitte dai tribunali del regime e la riabilitazione dei condannati, l’incentivazione di ricerche storiche sul periodo, il miglioramento delle condizioni pensionistiche dei reduci repubblicani della guerra civile e il riconoscimento di indennizzi agli eredi dei combattenti morti per la repubblica. Inoltre, la legge intende sostenere le ricerche per la localizzazione e l’identificazione delle vittime della repressione franchista, trucidate a migliaia a fine guerra e occultate in centinaia di fosse comuni sparse per il paese. La rimozione dei simboli franchisti dai luoghi pubblici e la creazione di un centro di documentazione della memoria storica e di un archivio generale della guerra civile (art.20).

Una fortissima presa di posizione, dopo anni di silenzio, nei confronti della memoria del ventesimo secolo spagnolo.

Una della conseguenze di questa legge è stata la rimozione della salma di Francisco Franco dal mausoleo del Valle de los Caídos, il monumento voluto dallo stesso dittatore che ricorda, sebbene con una evidente discriminazione tra vincitori e vinti i caduti della guerra civile. La sottrazione del corpo del caudillo dagli omaggi pubblici, avvenuto solo nel 2019 dopo una lunga battaglia legale con gli eredi del dittatore, è un ulteriore tentativo di ridefinire i rapporti di forza tra le memorie opposte degli spagnoli andando a toccare il corpo stesso del dittatore.

Un’altra delle conseguenze di questa legge è stata l’emanazione di norme analoghe sulla memoria da parte di molte comunità autonome spagnole, in particolare quelle in cui, storicamente, l’impatto del franchismo fu più violento: si dotano di leggi di memoria la Catalogna (2007), la Navarra (2013), il Paese Basco (2014), l’Andalusia e le Baleari (2017) e l’Aragona (2019).

La legge varata da Sánchez (PSOE) di questi giorni si inserisce quindi in un contesto fortemente frammentato, in cui a una memoria pubblica possibilmente condivisa si oppongono, più o meno coscientemente, da una parte la destra conservatrice, che sostiene che la “storia non si possa riscrivere”, e dall’altra le specifiche realtà autonome che sentono il bisogno di istituzionalizzare una “propria” specifica memoria in evidente opposizione alla tradizione centralista dello stato spagnolo, di cui il franchismo fu l’ultimo grande, violento esecutore.

Il ritorno dei socialisti al governo ha riportato al centro la questione.

Questa nuova iniziativa legislativa, che già viene definita “Ley de la Memoria democrática”, prevede soprattutto l’annullamento di tutte le sentenza politiche emesse durante il franchismo, con conseguente riabilitazione dei prigionieri politici e la costituzione di un registro nazionale per le vittime del regime. In più le associazioni franchiste – ancora legali in Spagna – non potranno più ricevere finanziamenti pubblici. A rischio chiusura enti di grande peso nel panorama culturale e politico spagnolo, come la stessa Fondazione Francisco Franco che si occupa di tenere viva la memoria del dittatore; è previsto poi che la “educazione democratica” diventi materia di studio a scuola. Infine viene stabilito un apparato sanzionatorio per chi offenda i valori costituzionali e democratici in ambito pubblico, una norma piuttosto controversa e di difficile applicazione in un paese in cui, ufficialmente, non esiste un reato definibile come “apologia di franchismo”.

La legge, appena approvata, ha già creato forti contrasti. 

Interessante notare come gli argomenti in parte siano i medesimi suscitati da analoghi provvedimenti che nel tempo sono entrati in vigore in Germania e Italia: il pericolo per la libertà di pensiero e il tentativo di difendere una memoria positiva del trentennio fascista che in Spagna è oggi tutt’altro che residuale.

L’esperienza in corso in Spagna risulta particolarmente interessante in quanto la dittatura spagnola, a differenza delle omologhe italiana e tedesca, non è morta “di morte violenta”. A livello pubblico il franchismo può vantare di non essere stato di fatto “sconfitto dalla storia”, ma di aver concluso la propria esperienza alla guida del paese per semplice obsolescenza. Una differenza importante rispetto al nazismo tedesco e in parte al fascismo italiano, che hanno a curriculum, nella loro ridefinizione storica, una guerra mondiale scatenata e persa e la condanna sul campo delle loro azioni.

La battaglia tuttora in corso sulla storia della Spagna nell’ultimo secolo, portata avanti spesso con intenti di politica quotidiana più che di interesse generale, nel corso del tempo ha visto l’asse memoriale spostarsi decisamente: dai primi forti accenti pacificatori delle leggi degli anni Settanta, in cui, cedendo lentamente il potere, l’élite franchista volle assicurarsi che il ricordo venisse gestito attraverso le parole d’ordine “concordia” e “riconciliazione”, che infatti sono il leit motiv della legislazione di transizione, si passa a metà degli anni duemila a una più chiara condanna del franchismo, definito senza mezzi termini “dittatura” – concetto per nulla scontato in un paese in cui una parte della popolazione ricorda ancora gli anni del consenso a Franco – e a un ruolo attivo, da parte delle istituzioni, nella ricostruzione di una memoria pubblica basata sugli ideali democratici.

Un lavoro faticoso che in qualche modo vuole seguire in parte l’esempio della legislazione tedesca occidentale del dopoguerra e che potrebbe costituire un importante caso di studio per altri paesi che, dopo una lunga stagione di rielaborazione della memoria pubblica del loro passato controverso, sembrano oggi aver abbandonato l’idea che vi possa essere una ricostruzione storicamente basata e guidata da un sistema di valori condiviso del proprio passato. Fra questi, soprattutto, l’Italia.

Qui lo speciale RAI sulla fine del Franchismo: https://www.raiplay.it/video/2017/06/Il-tempo-e-la-Storia—La-fine-del-Franchismo-65f78bea-4dfe-4565-8ba7-fc6e85cfca30.html