il nostro Calendario: 12 dicembre

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1969: Piazza Fontana, Milano

Il 12 dicembre 1969 la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, era piena di clienti venuti soprattutto dalla provincia; alle 16:30, mentre gli altri istituti di credito chiudevano, all’interno della filiale c’erano ancora molte persone. L’esplosione avvenne alle 16:37, quando nel grande salone dal tetto a cupola scoppiò un ordigno contenente 7 chili di tritolo, uccidendo 17 persone delle quali 13 sul colpo, e ferendone altre 87; la diciassettesima vittima morì un anno dopo per problemi di salute legati all’esplosione. Una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. La borsa fu recuperata ma l’ordigno, che poteva fornire preziosi elementi per l’indagine, fu fatto brillare dagli artificieri la sera stessa. Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 nel passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio; altre due esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia. I feriti a Roma furono in tutto 16. Comincia qui la strategia della tensione.

PATMOS di Pierpaolo Pasolini

Sono sotto choc

è giunto fino a Patmos sentore
di ciò che annusano i cappellani
i morti erano tutti dai cinquanta ai settanta
la mia età fra pochi anni, rivelazione di Gesù Cristo
che Dio, per istruire i suoi servi
– sulle cose che devono ben presto accadere –
ha fatto conoscere per mezzo del suo Angelo
al proprio servo Giovanni.
Ci sono là marcite; e molti pioppi. Venendo da là
vestivano di grigio e marrone; la roba pesante,
che fuma nelle osterie con le latrine all’aperto.
Poca creanza, farsi ritrovare così,
da parte di quei galantuomini non ancora del tutto romanizzati,
e sì che tutti i barocci erano spariti da un pezzo!
Ma gli usati corpi, non di monaci,
perché cattolici erano cattolici, ma s’erano sposati, fornicando
la loro parte; insomma, giusto perché dei nipotini oggi piangessero.
Solo un suicidio porterà sulle tracce del responsabile di tal pianto. (1)
Lombardi al Governo! Tra voi e il paese c’è un abisso.
È la vostra banalità che lo scava (le «e» strette
son niente confronto al lessico; che umile dialetto non è;
lo fosse!)Bomba_piazza_fontana
E chi è sotto choc ride con gli occhi di Antonioni
Il quale attesta come parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo
e anche Pasolini ride,
tutto quello che ha veduto,
mentre Moravia è distratto, beato chi legge,
e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia.
Che ne piangano le loro famiglie; io ne parlo da letterato.
Oppongo al cordoglio un certo manierismo.
Di tradizioni recenti son piene le Sette Chiesuole.
Canoni e tropi a disposizione rimpiazzano le commozioni;
e basta deciderlo, l’umore necessario è pronto
con tutti i suoi caratteri
(di difesa dietro il lessico, esso, eslege, desueto)
chi è al potere altresì ha le sue figure
entro cui comodamente sostituire al logos il nulla;
dietro una cattedra, un tavolo da lavoro,
col doppiopetto: perché il tempo è lontano.
Così si consola la morte, e chi ha la cattiva creanza
di farsi piangere; ridotto a tronconi: cosa inammissibile
in un uomo serio, che si occupa di agricoltura!
Come poi se fossimo nel ’44.
Io sono l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene; l’Onnipotente;
fidando su ciò, l’onorevole Rumor, Pocopotente
ma Potente, comunque,
si dissocia dai telespettatori dei bar
e parla ai piccoli borghesi in famiglia che si saziano
di indignazione del tutto lessicalmente estranea al popolo.

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Attilio Valè: presente!
52 anni, abitava a Mairano di Noviglio.
Era separato da otto anni dalla moglie;
era un bell’uomo alto circa un metro e ottanta:
commerciava in bestiame
Io, Giovanni, vostro fratello,
che partecipa con voi alla stessa tribolazione
al regno e alla perseveranza di Gesù,
mi trovai relegato nell’isola chiamata Patmos
a causa del Vangelo di Dio e delle testimonianze che rendevo a Gesù.
L’Autorità dello Stato moderato non contempla la realtà dei sensali.
Pietro Dendena (presente!) 45 anni,
abitava a Lodi in un nuovo edificio di Via Italia 11
con la moglie Luisa Corbellini, la figlia Franca, 17 anni,
che frequenta il corso di segretariato d’azienda,
e il figlio Paolo, 10 anni, alunno di quinta elementare.
Di professione mediatore,
frequentava regolarmente il mercato di Piazza Fontana
non mi meraviglierei da letterato schizoide
che comparisse tale e quale in un olio del Prado
né che avesse un debole per l’Inter;
ci son portichetti a Lodi, tetramente settentrionali –
contro un cielo buio, con nuvole basse –
micragna dei tempi degli Antenati, odor di vacche!
L’è il dì di mort (tutti presenti).
Quanto a Paolo Gerli, 77 anni (presente)
ci son portichetti a Lodi a sesto acuto,
e le piccole osterie micragnose sanno di vestiti bagnati
riscaldati dalla stufa
abitava con la moglie in un bellissimo palazzo di Via Savaré, 1,
dove si era trasferito nel 1954
possidente di non pochi terreni agricoli,
curava in proprio il commercio dei prodotti della sua terra.
I vicini di casa, loro,
lo ricordano come un signore gioviale e esuberante.
Usava regolarmente la bicicletta.
Aveva avuto dal matrimonio tre figlie tutte sposate.
Or, ecco, fui rapito in estasi, nel giorno del Signore
e udii dietro a me una voce potente, come di tromba
Eugenio Corsini, 55 anni, presente!
abitava dall’epoca delle nozze in Via Procopio 8,
padre di due figli ormai sposati,
commerciava in olii lubrificanti per macchine agricole.
La moglie non aveva smesso di lavorare.
Non si cantarono serenate in quel 1940;
dal 1940 si era lavorato giudiziosamente, a casa a far la calza.
Si erano frequentate scuole in vista di futuri risparmi;
niente grilli per la testa, che nessuno avesse niente da ridire;
la Morale come una cosa passata di donna in donna;
poco riso negli occhi, e gran risate al momento giusto: a Natale.
Io mi voltai per vedere la voce che parlava
e appena voltato vidi sette candelabri d’oro
Carlo Luigi Perego, 74 anni, risiedeva a Usmate Velate
e in mezzo ai candelabri Uno che assomigliava al Figlio dell’Uomo
in Via Stazione 21
vestito di una lunga veste
lascia la moglie e due figli sposati
che hanno proseguito la sua attività di assicuratore
e cinto d’una fascia d’oro sul petto
Era venuto a Milano per rivedere i vecchi amici
e per sbrigare alcune faccende relative all’attività dei figli
Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana
i suoi piedi erano simili a rame ardente arroventato in una fornace
(così disse chi li raccolse sotto il bancone)
Aveva presieduto, in qualità di coraggioso combattente del ’15-18
la locale sezione dell’associazione dei combattenti. Presente!
Carlo Garavaglia, 67 anni, presente!
Alla morte della moglie era andato a abitare con la figlia sposata
la sua voce era come il rumore delle grandi acque
a Corsico in Via XX Settembre 19.
Nella destra teneva sette stelle.
Era stato macellaio
dalla sua bocca usciva un’acuta spada a due tagli
percepiva attualmente una pensione di 18 mila lire.
La sua faccia era come il sole.
Tentava di realizzare qualche guadagno extra facendo il mediatore.
Carlo Gaiani, presente, 57 anni,
abitava con la moglie alla cascina Salesiana
Era perito agrario
ed aveva condotto con successo l’azienda agricola
che conduceva come affittuario, fino ad alcuni anni addietro.
Ora l’azienda era in decadenza.
Lavorava personalmente la terra con un solo lavorante.
Si era recato alla Banca dell’Agricoltura
per concludere la vendita delle ultime 14 vacche.
Saragat taccio, ma ne parla l’«Observer». (2)
Oreste Sangalli, 49 anni: «Presente!»
affittuario della cascina Ronchetto in via Merula 13 a Milano
mettiamo la sordina alla tromba di quell’Uno
lascia la moglie e due ragazzi, Franco di 13 e Claudio di 11
fare d’ogni erba un fascio degli estremisti
si era recato al mercato di Piazza Fontana
va bene per i giornali indipendenti (dalla Verità)
come tutti i venerdì in compagnia di Luigi Meloni
ma un presidente della Repubblica!
Si erano momentaneamente lasciati a Porta Ticinese
Non si può predicare moderazione
e si erano dati appuntamento a Piazza Fontana
in un paese dove è appunto la moderazione che va male
Hanno trovato entrambi la morte
e dove non si può essere moderati senza essere banali
poco dopo essersi ritrovati.
Luigi Meloni, 57 anni presente:
commerciante di bestiame abitava a Corsico in Via Cavour
con la moglie e il figlio Mario, studente di 18 anni.
Possiede qualche piccola proprietà immobiliare.
Era venuto a Milano con la vettura del Sangalli.
E quando l’ebbi veduto io caddi ai suoi piedi come morto.
Ma egli pose sopra di me la sua destra e disse:
Non temere, io sono il Primo e l’Ultimo.
Io sono il Medio, parvero dire Rumor e i suoi colleghi.
Non si può essere medi, qui, senza essere privi d’immaginazione.
Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente.
Giulio China, 57 anni, presente!!
Era uno dei più importanti commercianti di bestiame di Novara,
ove possedeva due cascine. Lascia la moglie e due figlie sposate.
Ho subìto la morte, ma ecco, ora vivo nei secoli dei secoli
(a differenza di Giulio China)
e tengo le chiavi della morte e dell’inferno.
Mario Pasi, cinquant’anni: presente,
abitava con la moglie in un bell’appartamento di Via Mercalli 16.
Ah antichi portichetti a sesto acuto, grigi, scrostati,
sotto cui l’ombra è così fredda che par di essere in Germania
e i negozietti di mercerie stringono il cuore, e ancor più
se vi si vendono anche caramelle, in scatole di cartone
Ma ci son anche palazzi di metallo e vetro
che danno sui parchi
Non aveva figli. Geometra,
si era dedicato all’amministrazione di fondi e stabili.
Era stato ufficiale di cavalleria.
Scrivi dunque le cose che hai vedute,
e le presenti e quelle che verranno dopo di esse:
l’Italia è in crisi, e la stessa crisi che soffro io
(inadattabilità alle nuove operazioni bancarie)
la soffrono alla loro bestial maniera i fascisti:
le ultime 14 vacche! Le ultime 14 vacche!
Ecco il senso misterioso delle sette stelle;
ché se sette erano magre, le altre sette erano ancor grassottelle.
Carlo Silva, 71 anni, abitava in Corso Lodi 108,
con la moglie e un figlio, impiegato alla «Dubied».
Aveva un secondo figlio sposato.
Aveva fatto il mediatore per tutta la vita
ma una lieve forma di paralisi lo aveva costretto
a muoversi con l’ausilio di un bastone.
Percepiva una esigua pensione, ma non aveva rinunciato
a recarsi ogni venerdì al settimanale convegno coi vecchi colleghi.
Bisogna andare da loro, stupidi come vipere, e dir loro:
Siamo fratelli: possediamo le ultime quattordici vacche:
la nostra azienda è in rovina,
lavoriamo con le nostre mani la terra
aiutati da un solo lavorante.
Non siamo più in grado di abitare in questo Paese
che se ne va per le strade nuove della storia
che hai veduto nella mia destra
e dei sette candelabri d’oro;
Gerolamo Papetti, 79 anni,
abitava alla cascina Ghisolfa di Rho
di cui era proprietario.
Aveva perso la moglie alcuni anni addietro.
Lascia tre figli, uno dei quali, Giocondo,
lo aveva accompagnato a Milano
ed è rimasto ferito in seguito allo scoppio.
Le sette stelle sono i sette Angeli delle sette Chiese
e i sette candelabri sono le sette Chiese.
Beh, non ho intenzione di scrivere l’intero Apocalisse:
ormai basta solo progettarlo;
e così le idee, basta enunciarle: realizzarle è superfluo.
In piena epoca industriale,
coltiviamo dunque la terra con le nostre mani, e un solo lavorante.
Andremo dunque presto a vendere le nostre ultime 14 vacche
ai Vicini nel 1970 avanti Cristo.
No, davvero non si può,
l’ecolalie neanche notarili
vomitate su noi dai nostri coetanei al Governo
sono intollerabili. Caro Moravia, caro Antonioni,
andiamo di là.
Poi venni a casa.

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I funerali delle vittime a Milano

La porta che dava sul corridoio della camera di mia madre
era aperta: da ciò arguii la sua inquietudine.
Essa ha ottant’anni, l’età di Gerolamo Papetti:
e penso a ciò che deve ancora soffrire.
Da letterato che fa della letteratura
dichiaro la mia solidarietà a «Potere Operaio»
e a tutti gli altri groupuscules di estrema sinistra,
Saragat non doveva fare un fascio di quell’erba:
e dunque sugli scudi Tolin.
Le sette Chiese sono su di noi, le zozze.
Scende la notte dello choc: il Naviglio va sottoterra
Tu ti suiciderai
se avevi tutto da guadagnare e nulla da perdere (3)
e quindi non sei un fascista di sinistra, che, poverino,
coi suoi ideali estremistici ora così tragicamente frustrati,
è divenuto mio caro fratello, e vorrei abbracciarlo forte;
tu ti ucciderai, fascista pazzo,
e il tuo suicidio non servirà ad altro
che a dare una disgraziata traccia alla Polizia.
In attesa di essere vendute, queste nostre ultime 14 vacche
pascolano crepuscolari a Patmos
dove ci si limita a scrivere, dell’Apocalisse, il solo prologo.
Ma approfondiamo
(che altro non si fa a Patmos,
senza giungere mai a conclusioni diverse da quelle previste,
il deprimente disprezzo per la borghesia, ivi compresi
i morti di cui sopra, tutti onorabilmente vissuti infino alla fine)
proseguendo, proseguendo eroicamente,
dopo aver steso un velo sulla sconfitta dei giovani
A Efeso a Pergamo a Smirne a Tiatira a Sardi a Filadelfia e a Laodicea
vivono i lettori che disprezzano i buoni sentimenti
e sanno, sanno bene del binomio Autorità-Banalità,
ma ciò non esclude che anche tra loro
i buoni sentimenti siano poi del tutto screditati, anzi, anzi!
Ma le conclusioni di ogni approfondimento sono prevedibili, ripeto.
L’ultimo odor di stalla e di farina
e la stoffa che fuma nelle osterie con la latrina all’aperto
dove va gente che se la intende sull’onorabilità
e vi fa del razzismo romanico
unisce intellettuali di sinistra e fascisti a un unico culto
in via di estinzione: allontanando nel cosmo il punto di vista (4)
essi appaiono tutti raccolti a imprecare allo stesso tabernacolo;
la porta della storia è una Porta Stretta
infilarsi dentro costa una spaventosa fatica
c’è chi rinuncia e dà in giro il culo
e chi non ci rinuncia, ma male, e tiri fuori il cric dal portabagagli,
e chi vuole entrarci a tutti i costi, a gomitate ma con dignità;
ma son tutti là, davanti a quella Porta.

(1) Questi versi sono stati scritti tra il 13 e il 14 dicembre; prima che si sapesse del suicidio dell’anarchico Pinelli.
(2) Ricordo di nuovo al lettore che questi versi sono stati scritti solo il giorno dopo i fatti di cui si parla.
(3) Prevedendo in questi versi un suicidio, pensavo, con assurda ingenuità, che il colpevole che si sarebbe suicidato sarebbe stato un fascista.
(4) Come nella Commedia pappo coesiste notoriamente con pulcro.

disegno di Dario Fo per Morte accidentale di un anarchico

 

Qui puoi vedere lo speciale di Carlo Lucarelli sulla strage di Piazza Fontana: https://www.raiplay.it/video/2019/11/Piazza-Fontana-racconto-di-una-strage—Blu-Notte—La-strage-di-Piazza-Fontana-un-processo-senza-fine-0ecda3e2-f144-4ce9-9136-4eb225ae56f1.html

il nostro Calendario: 4 dicembre

1999-2019: Vent’anni senza Nilde Iotti

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Nella  sua vita ha conosciuto le fatiche, la fierezza, l’amore intenso e l’intenso dolore, l’amore per la figlia Marisa e per i nipoti, la grande passione per la politica dove ha saputo essere innovatrice, intransigente e madre generosa.

Nilde Iotti nasce il 10 aprile del 1920 a Reggio Emilia, da Egidio ed Alberta Vezzoli, sposati civilmente.

Una famiglia tranquilla,  Egidio, ferroviere, socialista prampoliniano  ed attivista sindacale ; Alberta, una casalinga che amava leggere il Manzoni. Dopo l’avvento del fascismo, il  padre decide di ritirare la figlia dalla scuola pubblica per iscriverla ad un istituto cattolico, nel tentativo di sottrarla all’indottrinamento fascista ”meglio i preti dei fascisti”. Il padre pagò con il licenziamento dal lavoro  la sua fede  antifascista costringendo la famiglia ad affrontare grandi difficoltà economiche. Su un punto il padre non  arretra:  fare studiare la figlia. Esaltava il valore dello studio come base per diventare classe dirigente e sconfiggere il fascismo.”  Nilde, loro sanno, loro sanno” soleva ripetere alla figlia. Loro erano i borghesi e per far vincere il proletariato bisognava che esso si acculturasse. Dopo la morte del padre avvenuta nel 1934,la situazione economica si aggrava ulteriormente e la madre inizia a lavorare per permettere a Nilde Iotti, pur con grandi sacrifici di continuare gli studi intrapresi presso l’Istituto “ Principessa di Napoli” di Reggio Emilia.

Nel 1938, grazie ad una Borsa di studio, Nilde si iscrive alla facoltà di Magistero Dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nilde avrebbe preferito iscriversi alla facoltà di medicina o di ingegneria ma deve rinunciare per ragioni economiche e si prepara alla carriera dell’insegnamento. Partiva da Reggio Emilia con il treno verso Milano, viveva in una piccola stanzetta in affitto  e sentiva i rumori dei bombardamenti e le urla delle persone cui si univa nei rifugi . Nel corso degli anni universitari, inseguito allo studio della dottrina e della morale cattolica, Nilde Iotti vive una profonda crisi di carattere religioso che la porta ad allontanarsi dalla fede cattolica.

Il 31 ottobre del 1942 si laurea con una tesi dal titolo” L’attuazione delle riforme in Reggio Emilia nella seconda metà del secolo XVIII”.  Dopo la laurea ritorna a Reggio Emilia e comincia ad insegnare lettere presso l’Istituto Tecnico Commerciale per geometri ”A.Sacchi”. La devastazione prodotta dal fascismo , l’avvio della guerra partigiana la sollecitano a schierarsi, a fare la sua parte. Lo fa ascoltando molte voci: prima  fra tutte quella delle  donne dei Gruppi di Difesa delle Donne, la prima grande ed unitaria organizzazione femminile aperta a tutte le donne. Ascolta la voce del cattolico La Pira, dei socialisti.

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A convincerla in modo definitivo nella scelta politica non solo contro il fascismo ma accanto al partito Comunista Italiano  fu l’ascolto della “voce gracchiante di Ercoli(Togliatti)” a Radio Londra quando annuncia la Svolta di Salerno, l’unità antifascista, il sostegno del governo Badoglio per sconfiggere il fascismo ed il nazismo e l’impegno a  costruire la democrazia progressiva, attraverso l’unità dei comunisti, socialisti e cattolici. Fin dall’inizio del suo apprendistato politico Nilde Iotti ha un atteggiamento aperto che la porta all’ascolto di tutte le voci e di tutte le culture schierate contro il fascismo. Nel 1945 ,in piena occupazione tedesca, festeggia il suo primo 8 marzo organizzando una manifestazione di donne davanti alla questura di Reggio Emilia  per richiedere la distribuzione dei viveri ed il rilascio dei detenuti politici. Nel luglio ,in occasione delle prime elezioni libere viene eletta consigliera comunale come indipendente nelle liste del PCI. Tante volte ci raccontava dei suoi  primi  comizi nelle piazze e nelle strade, a volte deserti ma solo apparentemente, perché  le donne l’ascoltavano chiuse nelle loro case dietro le finestre, poi cominciarono ad affacciarsi  sui balconi. Nell’autunno venne eletta segretaria provinciale dell’UDI che contava 23mila iscritte e svolge una attività intensa tra le donne imprimendo una svolta innovativa rispetto alla tradizionale impostazione della battaglia di emancipazione. Bisognava che le donne fossero impegnate nel lavoro ma anche nella cultura. Bisognava rivolgersi alle operaie ma coinvolgere anche le casalinghe, le insegnanti, le donne più colte. Bisognava sostenere e valorizzare gli affetti famigliari ma costruire una famiglia nuova basata sulla pari dignità tra uomini e donne e superando il rapporto autoritario con i figli .Nel 1946 si iscrive al PCI e viene eletta parlamentare con 15.936 voti di preferenza(a Reggio Emilia ottiene il 45,7 % dei voti).

Fu una delle 21 Costituenti, entra a far parte della” Commissione dei settantacinque” incaricata di elaborare la bozza del testo costituzionale. Partecipa alla  Prima Sotto Commissione che si occupa della stesura dei diritti e dei doveri. Nilde Iotti fu relatrice sul tema della famiglia ed introdusse fin da subito i temi della parità tra i sessi, del sostegno alla donna lavoratrice e madre, della equiparazione giuridica  dei figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori del matrimonio per garantire  pari tutela e dignità a tutti i bambini/e.

Fu eletta segretaria nazionale  dell’ UDI e incontrò Togliatti. Un incrocio di sguardi mentre scendevano le scale di Montecitorio accese nei loro cuori una fiamma potente. Lei, giovane di 26 anni, Lui capo indiscusso del PCI sposato con Rita Montagna da cui aveva avuto un figlio. Fu un amore intenso, vissuto con pari intensità ,come confermano le lettere d’amore che sono pubblicate nel libro di Luisa lama “NILDE IOTTI: una storia politica femminile”(Donzelli editore).Un amore forte che entrambi vollero vivere in libertà ma che cozzava con la morale di quei tempi e che fu aspramente ostacolato dai dirigenti comunisti.

Persino Stalin era preoccupato di quella giovane donna, che aveva studiato in una scuola cattolica e che avrebbe potuto essere una spia del Vaticano , che coinvolgeva così tanto e tanta influenza esercitava sul Capo dei comunisti Italiani. Adottarono tramite affiliazione Marisa Malagoli, sorella di un operaio rimasto ucciso durante uno scontro con la polizia nel corso di uno sciopero a Modena. Erano una “strana famiglia” che viveva con grande intensità il loro legame famigliare. La carriera politica di Nilde subì una battuta d’arresto in virtù del legame d’amore con il Capo.  Fu eletta nel Comitato Centrale nel 1956 con un numero minimo di voti. Quando ci fu l’attentato a Togliatti fu la prima a correre a soccorrerlo ma fu allontanata dai dirigenti. Potè  andare al suo capezzale solo perché esplicitamente chiamata da Togliatti.  Fu riconosciuta come la sua legittima compagna  nel 1964 quando Togliatti morì.

Si occupò con particolare dedizione dei temi del Diritto di famiglia, delle pensioni alle casalinghe,  del divorzio assumendo come riferimento  l’idea di famiglia come comunità di affetti. Nel 1962 entrò nella Direzione nazionale del partito. Europeista convinta, nel 1969 viene eletta membro dell’assemblea parlamentare europea. Nel 1979 viene eletta, prima donna, Presidente della Camera. Nel suo discorso di insediamento dedicò le sue prime parole alle donne italiane, cui rimase sempre profondamente legata e fedele. A partire dalle sue amiche di Reggio Emilia. Alle donne in particolare insegnava l’eleganza della politica, che doveva nutrirsi di cultura, ricercare e promuovere il bene comune, essere capace di ascolto. Amava l’eleganza  degli abiti e della persona e ci sollecitava a curare il nostro aspetto, ad avere cura della nostra persona. Aveva una grande stima di sé ma non parlava di carriera ma di “progressione”.  Aveva una grande stima di sé ma sapeva essere semplice, disponibile e considerava fondamentale per la democrazia praticare una  politica popolare capace di rendere attive e protagoniste tutte le persone.

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Presidente imparziale, si impegnò subito per la riforma della seconda parte della Costituzione per rendere il Parlamento più efficiente .Uno dei suoi primi atti fu il Lodo Iotti, per impedire l’ostruzionismo separando la discussione sugli emendamenti dall’espressione del voto di fiducia. Cui seguì la riforma dei Regolamenti parlamentari. A meno di un anno  dalla fine del suo mandato riceve da Cossiga la nomina di senatrice a vita ma la rifiuta, preferendo restare a Montecitorio, dove l’avevano chiamata i cittadini e la fiducia dei colleghi.

Nel partito fu una innovatrice e si schierò subito dalla parte di Occhetto alla svolta della Bolognina per il superamento del PCI e costruire un nuovo soggetto politico della sinistra.

Fu l’unica donna ad avere conferito l’incarico esplorativo per formare un Governo.

Nominò Tina Anselmi, l’altra grande madre della Repubblica, Presidente della Commissione che indagava sulla P2 di Licio Gelli.

Tornata al semplice lavoro parlamentare costruì  un forte legame con” le giovani compagne” ,  ci  sostenne nelle battaglie per una nuova  legge contro la violenza sessuale, per la democrazia paritaria, per cambiare i tempi di vita e conciliare il lavoro e la famiglia, nel progetto della Carta delle Donne “dalle donne la forza delle donne” (1986). Era austera ma sapeva anche essere materna e teneva molto alla cura della sua femminilità. La ricordo quando durante i congressi  o le riunioni più impegnative tirava fuori dalla borsetta il rossetto e con grande naturalezza se lo spalmava sulle labbra e pettinava i suoi capelli.

Si impegnò per la riforma delle istituzioni, presiedendo la Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali voluta da De Mita nel 1993. Il 28 gennaio del 1998 pronuncia un importante discorso in Aula a sostegno delle riforme emerse dalla Commissione Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. Credo che oggi sarebbe contenta di vedere finalmente varata la riforma del Senato e sarebbe fiera del protagonismo femminile.

Stanca e malata Nilde Iotti continua a lavorare ed a studiare sui banchi di Montecitorio fino al 18 novembre del 1999, quando lascia l’Aula dopo 53 anni, accompagnata da un lunghissimo applauso.

“Lascio con rammarico dopo 50 anni di lavoro il mio incarico di parlamentare. Mi auguro che lo spirito di unità per cui mi sono sempre impegnata prevalga nei confronti dei pericoli che minacciano la vita nazionale. Vi ringrazio per la cortesia.”

Muore pochi giorni dopo,  la notte del 3 dicembre 1999, salutata da una grandissima partecipazione popolare, confermata due giorni dopo nei funerali di  Stato. Riposa nel  cimitero del Verano di Roma accanto a Palmiro Togliatti.

Il suo messaggio di una politica bella, pulita, onesta , ricca di cultura può continuare a conquistare il cuore di tanti giovani e ragazze, esserne punto di riferimento.

Livia Turco

da L’Unità del 3 dicembre 2015

«Il principio di eguaglianza a me sta particolarmente a cuore […] E’ la sanzione solenne, costituzionale dell’ingresso delle donne nella vita politica. Avevano votato per l’Assemblea Costituente. La Costituzione con quell’articolo afferma il loro essere cittadine alla pari con tutti gli altri cittadini. Per me è un punto che fa della Costituzione italiana ancora adesso una Costituzione moderna.»

Nilde Iotti

QUI puoi vedere un video della Tribuna Politica del 1962